Salute Estrema

LA RICERCA: VEDERE IL TEMPO

L’esperienza professionale e la ricerca privata di un equilibrio e di una risposta ai quesiti che avevano affrescato i miei vent’anni, sono vissuti insieme, allacciati in un gioco senza rete, proiettati in avanti da quella formidabile e trasparente certezza, che matura in ciascuno di noi, nei grandi appuntamenti percettivi dell’adolescenza. Con chiarezza si sono stampate nella memoria osservazioni e sorprese, che mi hanno assalito nell’infanzia e nell’adolescenza, nei contatti con il mondo degli adulti e con le sue convenzioni. Da una parte la vita, l’abbagliante vocazione a percorrerla improvvisamente, irreversibilmente, nell’abbraccio di un’adesione totale, riconoscente, commossa, eccitata. Dall’altra i ma, i se, le pause recitate, le ambivalenze ferite, i sorrisi spenti, che via via frantumavano il primitivo disegno di gioia, intristivano e rattrappivano lo slancio, proiettando nel profondo l’ombra deserta e ghiaccia della sfiducia, della motivazione contro, della negazione. Sofferenza che si appropria intrinsecamente della tua intimità; dolore che chiede in pegno… la tua esclusione! La gratuità, la evocabilità, l’innocenza, la ripetitività dell’esperienza dolorosa disegnata sui volti, chiusa nel comportamento, manifesta nella voce, affondata nello sguardo della nostra disillusione, come un tratto caratteristico, simbolico della nostra specie. La sofferenza che si rigenera in te, come il rovescio di una garanzia, in un aggancio reale con il bene. Una frase non pronunciata, un patto non dichiarato, ma intrinseco al nostro percepire. Una forma di complicità con il nemico, sancita da “favori” taciuti e mortali. Una pausa, in cui due tempi divisi sembrano coincidere. Si può essere un po’ tristi e un po’ allegri. Un breve delirio di attesa e l’esitazione della intelligenza affacciata su di un vuoto di fantasia. Altalenare tra un’idea ossessiva, l’aria soffocante, la mimica tirata; un’attesa ansiosa, facile, automatica. Il nostro ridere breve e il ripetersi magico e costante della proposizione negativa. Un perfetto e puntuale rimandare la presa di contatto con una felicità senza alternative, necessaria. Un’attesa, una richiesta indiretta, formale pregiudiziale, che non entra nelle cose e negli avvenimenti. Che non diventa adulta. Anche quando ottiene risposte sane rimane contaminata dal vizio di origine, pronto a ricomparire ad ogni conclusione. Così si rimane fuori del tempo e si compiono esperienze ellittiche, slittanti, che non ci modificano, continuamente minacciate da un’angoscia facile, consumistica. Un filo, una ragnatela, un gioco. E tutto scorre via. Agganciati e condizionati per tutta la vita a difficoltà e problemi che avrebbero potuto essere risolti con una discussione semplice, amichevole. Una volta per tutte!

A disagio in un mondo convenzionale, dove gli errori del sistema vengono interpretati come mali necessari, perché la grande ruota della società continui a girare, ho vissuto pazientemente il lavoro come strumento per verificare i rapporti, le scelte e le decisioni in un confronto dichiarato ed esplicito con la quotidianità. Chiedendo, riformulando, scoprendo la stessa domanda e confrontando le diverse risposte che, occasionalmente o volontariamente, andavo raccogliendo, ho maturato via via le mie scelte.

La consapevolezza di riuscire inopportuno, faticoso, pressante a volte sgradito, hanno fatto parte di un percorso accidentato, sicuramente non facile. Per contro, l’infelicità che vedevo dipinta sulla faccia dei più e la mia determinazione di approdare ad un’esperienza intima e trasparente sono state più forti di qualsiasi convenzione e di qualsiasi paura. Il seme della mia esperienza professionale era stato depositato durante gli anni della scuola, quando accompagnavo talvolta mio padre in sala operatoria o nella visita serale ai pazienti. Il silenzio dei corridoi era attraversato dal suo passo rapido e dall’impulso improvviso e carico di progetti, che suscitavano una disponibilità pronta e famigliare nell’incontro con i medici e gli infermieri. La sua passione e la sua sicurezza accendevano una comunicazione aperta alla gioia ed alla speranza. In quegli incontri serali raccoglievo il messaggio di una comunità alimentata dal calore umano e dall’armonia e dedicata ad un unico progetto di vita. Parole e immagini di solidarietà scrivevano nella mia memoria le frasi di una promessa definitiva.

Comincio la professione nel ’67, a Ferrara, nella città in cui sono nato ed alla fine del ’68 ho già preparato la fuga. Trascorro 14 mesi presso la Clinica Oculistica della Libera Università di Berlino, come assistente ricercatore. Hugo Hager, Direttore della Clinica, generoso e creativo, accende la miccia e con la sua benedizione ha inizio la mia avventura professionale nel campo della microchirurgia oftalmica.

Alla fine degli anni ’60 la introduzione di un linguaggio estremamente preciso, “certificato”,
e nello stesso tempo agile ed immediato, come quello della immagine al microscopio operatorio,
ha consentito alla oftalmologia di emanciparsi per sempre dalle ombre di una cultura medica ancora affidata alle impostazioni delle diverse Scuole e centrata sulla individualità dei Direttori
 Il microscopio operatorio è stato uno strumento di democratizzazione delle conoscenze e
delle esperienze, che ha proiettato nuove energie, nuove competenze e nuove risorse verso traguardi fino ad allora inimmaginabili e di grande impatto sociale. Ho avuto la fortuna ed il privilegio di vivere questa straordinaria esperienza a contatto con i centri che in Europa ed in Nord America hanno condotto la gara. Noi tutti siamo stati catturati da una specie di vertigine, che ci ha portato a perfezionare, cambiare, inventare nuove strumentazioni, nuove tecniche, nuovi approcci. Non ci siamo accorti che la nuova società nasceva perché uno strumento, il microscopio operatorio, aveva attribuito al nostro “guardare” la qualità di un “vedere” nuovo e sottile.
 A questo punto vorrei chiarire questa affermazione con alcune riflessioni, che mi accompagnano ormai da molti anni e che hanno costituito la premessa “sperimentata” di un nuovo progetto dedicato alla salute ed alla vita quotidiana.

Tutte le volte che mi siedo al microscopio operatorio per iniziare un intervento avverto, e questo sin dalle primissime volte, una sensazione di benessere e di piacevolezza così intense, che mi fanno dimenticare non solo le preoccupazioni della giornata, ma qualsiasi altro rapporto che ho con la quotidianità. Una specie di ritorno emotivo, che si colora subito con un sentimento di gratitudine, una mutualità affettiva, una intenzione chiara, che non lascia spazio ad altri pensieri.
La preparazione è già un invito al distacco dall’ambiente ed alla concentrazione. Si vive una disposizione profondamente motivata a risolvere un importante problema esistenziale del paziente. Il cervello dell’operatore viene inondato da immagini luminose, nitide, trasparenti. Monitorato nell’intenzione, raccolto nella percezione di un anticipo, affidato ad un’esecuzione critica e sobria, il gesto chirurgico si purifica progressivamente da resistenze emotive e da procedimenti culturali. La sensibilità tattile nella chirurgia del bulbo oculare è quasi inesistente. Si sente con gli occhi.
La leggerezza di un contatto, il “grasping” di una membrana, il tempo rotondo e continuo di una sequenza…

 Man mano che l’esperienza si afferma, ci si accorge che il gesto registra nel monitor l’effetto di una microchirurgia del “momento percettivo”, che abbiamo vissuto un istante prima.
 Il chirurgo acquista così la consapevolezza che tra i suoi occhi e quello del paziente vive una percezione fluida e continua, che progressivamente viene educata e affinata, attraverso un dialogo originale e creativo. L’informazione acquisita con lo studio e gli incontri scientifici cade nell’automatico, perché il chirurgo possa sempre più liberamente affidarsi ai suggerimenti della propria esperienza percettiva. È solo a questo punto che l’intervento diventa nuovo ogni volta e riesce a catturare l’adesione totale dell’operatore, all’interno di una mutualità sincrona e trasparente.

Uno studioso di anatomia comparata, esaminando la fotografia di un chirurgo al microscopio operatorio, descriverebbe un “umanoide” caratterizzato da una “proboscide visiva”, che si inserisce nella parte alta del cranio. Impegnato nei movimenti quasi impercettibili delle sue dita, questo umanoide verrebbe probabilmente classificato come una specie “visiva”. Non avendo competenze di antropologia comparata e non riuscendo ad interpretare diversamente la fotografia che mi hanno scattato durante un intervento, mi sono deciso ad interpellare alcuni esperti del settore! Un mio amico, direttore della ricerca e sviluppo di una importante industria ottica, ha modellato sulla mia faccia una maschera trasparente, ed ha inserito due lenti che, viste allo specchio, non si distinguono da un paio di occhiali Rayban… Il colore delle lenti è di un verde appena accennato. Mario, così si chiama questo amico, ha così risolto un mio grande desiderio: farmi girare per strada attrezzato come se io fossi seduto al microscopio operatorio! Nella sua generosità Mario ha cercato di spiegarmi gli accorgimenti di ottica protesica e di ottica funzionale, ai quali è ricorso per realizzare questa “nuova proposta”. Della sua spiegazione io ho capito… non tutto! Sta di fatto che quando applico questa “muta ottica” mi trovo nelle stesse, identiche condizioni di quando sono al microscopio operatorio. Il rapporto con le cose, gli oggetti, è esattamente lo stesso. Invece di un ago, un lembo di iride, un frammento di cristallino, io guardo una signora di mezza età un po’ grassoccia che sale sul tram, una manciata di colombi che si alzano improvvisamente in volo dalla piazza, la mia sagoma, quando passo davanti a una vetrina correndo in bicicletta. Sono ormai ventuno giorni che giro in queste condizioni e apparentemente non è cambiato nulla. Una volta la mia segretaria mi ha chiesto se la luce mi dava fastidio, perché non mi aveva mai visto prima con gli occhiali e ho saputo che due collaboratori sono convinti che io stia nascondendo una leggera congiuntivite. Da parte mia, in queste tre settimane, ho potuto constatare che l’esperienza che ho vissuto per tanti anni al microscopio è possibile trasferirla direttamente anche nella vita quotidiana!…

 Fuor di metafora, cercherò ora di chiarire questa affermazione con un esempio. Di fronte ad un paesaggio particolarmente bello e ricco di suggerimenti emotivi, a cui noi ci affacciamo in perfetta solitudine, distratti da niente, ci accorgiamo, dopo un certo tempo, della “scomparsa” del nostro corpo, come se le sensazioni delle gambe, la posizione della schiena e delle nostre braccia si fossero affievolite e fossero “uscite” dalla nostra percezione. Si interrompe nel corso di questa esperienza quel tric-trac, quella specie di doppio controllo, al quale siamo consapevolmente e inconsapevolmente abituati nell’esperienza di tutti i giorni. Per cui ci riesce difficile mantenere un’attenzione, uno sguardo, una percezione, anche per pochi minuti, senza che intervenga un pensiero, una memoria, che di fatto ci distraggono dalla immagine che stavamo contemplando.
Un clic… e noi perdiamo il contatto con quella “scena interna”, alla quale eravamo affacciati e ci volgiamo ad occuparci di una improvvisa necessità. La fisicità, che occupa così pesantemente il nostro respiro intellettuale ed emotivo, non ci permette, se non occasionalmente, l’esperienza del tempo, come misura e insieme anima dei nostri vissuti, per cui noi continuiamo ipnoticamente a confrontarci con cose, corpi, oggetti, mentre la vita corre lungo tragitti temporali, che i nostri occhi intravvedono di tanto in tanto, malamente. L’ottica funzionale, la neurofisiologia, la psicologia, così come le esperienze “sottili” che vengono vissute, in questi ultimi anni da un numero crescente di atleti che si dedicano a sport estremi e le fantasie di alcuni futurologi ci invitano a cercare, leggere e sperimentare i contenuti temporali delle nostre esperienze visive, quanto più sottile e differenziata è la nostra ricerca.
Vedere il tempo! È il messaggio, che ho recepito all’inizio della mia ricerca e che oggi cerco di esprimere in queste pagine.

 

 

 

 

 

INTERROGATIVI QUOTIDIANI


È nel buio che devi guardare, con disobbedienza, ottimismo e avventatezza
. Marguerite Yourcenar

Il nostro futuro è affidato innanzitutto alle sorti di una sfida che dobbiamo affrontare e superare nei confronti di un progetto di apprendimento, che coinvolge gli uomini di tutte le latitudini, le età, le fasce sociali. Alvin Toffler nel 1970 affermava:
 Quando il bambino nato oggi arriverà alla sua laurea, il complesso delle cognizioni disponibili sarà aumentato di quattro volte e quando lo stesso bambino avrà 50 anni di trentadue volte ed il 97% di tutto ciò che sarà noto nel mondo, sarà stato appreso dal giorno della sua nascita in poi.

Con un documento solenne del Congresso degli Stati Uniti d’America, il cervello dell’uomo viene posto al centro dell’attenzione sociale di una Nazione: “Il Senato e la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti d’America riuniti nel Congresso deliberano che il decennio che inizierà il 1° gennaio 1990 venga designato come ‘decade del cervello’”.
Non più i diritti della vita civile, quali libertà, fraternità, uguaglianza, ma il cervello dell’uomo viene posto al centro dell’attenzione e dell’impegno sociale di una nazione.
Gerald Edelman riflette sulle relazioni tra mente e cervello all’interno di una interpretazione evolutiva e ci regala una pagina coinvolgente, di straordinaria trasparenza.

La mente è un risultato dell’evoluzione e non di una pianificazione razionale. È questa ricchezza di livelli e non un nuovo principio esoterico a rendere così difficoltosa la riflessione sulla mente. Il risultato è un oggetto delicatissimo caratterizzato da una molteplicità di livelli e di cicli interni. I contenuti semantici sono privi di significato se manca l’intenzionalità o la capacità di riferirsi ad altri strati o ad altri oggetti. Negli esseri umani ciò richiede una coscienza e un sé. Una teoria della mente non può eludere questo punto, che non è soltanto una questione di linguaggio, ma anche un grande problema biologico
. Un’epistemologia con fondamenti biologici potrà esprimere opinioni preziose via via che aumenta la conoscenza del cervello. La mia opinione è che non può esservi scienza compiuta, fino a quando non si darà una spiegazione della mente in termini biologici.

La lettura dell’incontro mente-cervello sarà dunque l’obiettivo comune della ricerca biologica, medica e umanistica dei prossimi anni. A quelle conoscenze dovranno comunque riferirsi le istituzioni a risvolto sociale, prime fra tutte la famiglia e poi la scuola, la sanità, l’industria, i media, perché il cervello è la realtà più ricca e complessa nella storia dell’evoluzione. Per contro, la vita mentale costituisce un epifenomeno, un “indotto speciale” di una realtà biologica, il cervello, appunto, infinitamente più estesa, animata da miliardi di processi in continuo divenire. Quando formuliamo un programma finalizzato ad un cambiamento delle nostre abitudini, ricorriamo continuamente ad attività che coinvolgono la coscienza come strumento di certezza per confrontare, verificare, scegliere ed operare. La relazione che corre fra “noi” e la nostra coscienza ci coinvolge intimamente, 24 ore al giorno. A questa relazione è affidato il concetto della nostra identità e con esso quel complesso di pensieri, memorie, percezioni che alimentano i progetti, le attese, le relazioni della nostra vita quotidiana… cosicché la scoperta della fragilità, episodicità, ambiguità di questa nostra relazione crea necessariamente imbarazzo, inquietudine, disorientamento.

I nostri pensieri coscienti sembrano scaturire dalle caverne sotterranee della mente. Le immagini irrompono nell’occhio della nostra mente senza che abbiamo la minima idea della loro provenienza! Eppure, quando li rendiamo pubblici, ci aspettiamo che il merito dei nostri pensieri venga attribuito a noi e non alle nostre strutture subconscie. Se, come si è appena asserito, le nostre idee migliori sembrano zampillare da misteriose scaturigini sotterranee, allora chi siamo noi veramente?. (Hofstaedter-Dennet, L’Io della mente, Adelphi 1992).

Solo di tanto in tanto noi siamo coscienti. Come camminiamo senza pensare, così pensiamo senza pensare! La coscienza è una parte della nostra vita mentale molto più piccola di quanto abbiamo coscienza, perché non possiamo essere coscienti di ciò di cui non siamo coscienti.
Come è semplice esprimere questo concetto e come è difficile rendersi conto esattamente del suo significato! È come chiedere a una torcia elettrica in una stanza buia di cercarvi qualcosa che non sia illuminato. La torcia, vedendo luce in qualsiasi direzione si rivolga, concluderebbe che c’è luce dappertutto. Allo stesso modo si può avere l’impressione che la coscienza pervada tutta l’attività mentale, mentre in realtà non è così. Noi siamo quindi coscienti meno a lungo di quanto pensiamo
. (Julian Janes, Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, Adelphi 1988).

Ogni situazione o condizione che sperimentiamo è influenzata o per così dire colorata da migliaia di sfumature e gradazioni contestuali, così come guardare attraverso un vetro colorato ha un effetto su tutto ciò che si vede. I pensieri dei vari individui hanno una microstruttura un pochino diversa; e anzi, l’impossibilità di esprimerli riflette la nostra individualità”. (Marvin Minski, La società della mente, Adelphi 1989).

 Pluralismo di funzioni, “multimedialità” percettiva, incessante mutamento dei percorsi neurali, reciprocità e plasticità del dialogo tra vita mentale e cervello biologico scuotono nel profondo il nostro concetto di identità e sollecitano una conversione di 180° del nostro sguardo: da astronauti di un universo fisico ad entronauti di un divenire biologico ed energetico, affidati ai giochi di una memoria discontinua e di un desiderio e di una speranza, che sembrano nutrirsi del proprio mutamento. Con innocenza una relazione conduce nel sonno e nella veglia le nostre scelte. Costituisce, questa relazione, il paradigma di conoscenza che caratterizza l’approccio del bambino nei primissimi anni e, nell’adulto, l’assunto dal quale prende origine la straordinaria fenomenologia dei comportamenti. Durante l’esperienza prenatale ed i primi mesi di vita, la conoscenza si sviluppa dapprima per flussi di informazione, che provengono dalla madre e dal mondo esterno e inondano la mente in una fase acritica, percorsa da un tempo indeterminato. Questa prima conoscenza percettiva, che avviene per pura ricezione, suscita ed alimenta un sentimento di amore sacrale nei confronti dell’alterità della vita, rappresentata dai propri genitori e dal mondo esterno. In seguito il bambino si scopre produttore di informazioni, fantasie, affetti, certezze e la mente viene così a disporre di due strumenti: la “ricezione” e la “creazione” e con essi tesse le maglie dei propri vissuti, consapevoli ed inconsci, nella veglia e nel sonno, alternando in questo gioco, di volta in volta, il suo ruolo di ricettore e di creatore-dispensatore di informazioni, affetti, intenzioni e messaggi. L’assunto necessario, inconscio, automatico, che si deposita alla radice della nostra vita mentale prefigura la relazione con un <interlocutore>, che può essere buono o cattivo, amico o nemico, chiaro o ambiguo, generoso o egoista. Certamente le nostre storie saranno diverse in relazione alla qualità del nostro< interlocutore>  e con essa il timbro della voce, la struttura del nostro corpo, la postura, la mimica, la qualità dell’ascolto, il movimento degli occhi. La matrice, comunque, rimane la stessa per ciascuno di noi e porta con sé la garanzia di un’intima ambivalenza. Quella di un respiro alterno che oscilla tra l’IO e il TU. Per cui, quando ci sentiamo prigionieri del corpo, sogniamo una relazione eterna e quando ci accorgiamo che la vita scorre senza di noi, domandiamo angosciati l’ancoraggio ad un corpo che resista al tempo. L’analisi delle motivazioni sottili ci riporta costantemente ai termini di questo dialogo, in cui tutto può accadere tranne la conclusione del rapporto tra l’IO e il TU. Il dover dimostrare è radicatissimo in noi e ci accompagna per tutta la vita. Così per tutta la vita l’Io spiega al Tu ed il Tu spiega all’Io. L’uno deve rendere conto all’altro, in una incessante attività di reciproco controllo.

L’apprendimento inizia con una “fase atemporale”, durante la quale un mondo smisurato di informazioni invade il cervello, mentre la memoria di sé, l’esperienza del movimento e dello spostamento nello spazio si trovano ad uno stadio embrionale. Si può dunque dire che il nostro imprinting sia caratterizzato da grandi esperienze sensoriali (cutanee e uditive e solo successivamente anche visive), che si sviluppano in un tempo ancora non attraversato dalla memoria e dal movimento (vita prenatale e neonatale). La mancanza di potere critico e la totale dipendenza dagli altri e dall’ambiente caratterizzano questa prima conoscenza, che pervade funzioni vitali ed emotività profonde ed automatiche. Ontologica innocenza e passività del sentire, gratuità del dono e corrispondente inarrestabile riconoscenza, atemporalità e globalità del coinvolgimento emotivo e vegetativo, si imprimono nella mente del neonato e alimentano un’intensa aura sacrale.

Il progetto di emancipazione parte dalla accettazione paziente di questo nucleo neuropsicologico primitivo. Qualsiasi tentativo di ignorare o reprimere questa prima esperienza ostacola in maniera grave lo sviluppo e la vita adulta, avviando una serie infinita di compromessi, armistizi, convenzioni necessariamente perdenti, che impoveriscono la capacità di sentire e comprendere, di amare e di essere amati.
 Ruoli, ammalano la vita con piccole frasi ed occasioni perdute. Senza felicità, la convenzione incarcera l’errore e scolpisce un volto di pietra2.
L’adulto, che voglia affrontare un progetto reale di mutamento e di emancipazione, deve innanzitutto “comprare il tempo” e dedicare le proprie energie a ripulire quel filtro che lo divide dalla prima infanzia e che risulta intasato da convenzioni, paure, passività, astuzie, diritti calpestati, ricorrente affacciarsi di istanze dolorose, tratti caratteristici della nostra specie.
Occasioni subito inghiottite dal ripensamento; desideri, domande senza risposta versano liquida cera a confondere l’ultimo giro della memoria. Un cercarsi impalpabile. Un dubbio morale, sottile e polveroso. Pezze variopinte, farfalle chiuse in un moto circolare. Un’attesa, che non diventa adulta. Un’angoscia circolare, ragnatela e gioco. Nessuno racconta. Nessuno ride. Un errore inutile, forse. Un senso vuoto.

 La soglia della felicità è costruita da elementi semplici e chiari e per tutti si spalanca quando si è bambini. Se non la attraversiamo, rimane dentro di noi un rimorso, un vuoto, che spegne dolorosamente il gioco emotivo, incarcera l’errore e suggerisce la identificazione con un personaggio stereotipo dal volto di cera. E per contro l’insopprimibile desiderio di approdare ad una condizione emotiva, in cui la trasparenza, la comunione, la gioia vadano ad occupare tutto il nostro orizzonte, al riparo di calcolate ambivalenze, incerte alleanze, ragionate attese. E se il dolore psichico non esistesse e fosse solo il risultato dell’uso improprio e disordinato degli strumenti della nostra comunicazione?!

 “Uscire dallo spazio che su di noi hanno incurvato secoli e secoli. Quasi nemmeno ci rendiamo conto delle nostre tacite obbedienze e automatiche sottomissioni, ma ce le possono scoprire, dandoci un orrore salutare, i momenti di spassionata osservazione, quando scatta il dono di chiaroveggenza e libertà e per l’istante si è padroni e il destino sta svelato allo sguardo.
Per mantenersi in questo stato occorre non avere interessi da difendere, paure da snidare, bisogni da soddisfare. Si raccolgono i dati, si dispongono nell’ordine opportuno e al di là dei recinti si spalanca l’immensa distesa del possibile”.
(Ellemire Zolla, Uscite dal mondo, Adelphi 1992).

Comprare il tempo è indispensabile, anche perché le esperienze infantili si svolgono in sequenze cicliche e lente. Lo scopo non è finalizzato a risolvere problemi specifici e temporizzati, ma a tracciare il disegno e creare la confidenza della partecipazione al grande gioco dell’esistenza, a scambiare doni in assoluta pace. Un percorso a ritroso che, con nostra sorpresa, troveremo seminato di pensieri e di sensazioni “contro”, che limitano e irrigidiscono il nostro schema corporeo e contraggono il registro della nostra partecipazione emotiva.
Magia della sofferenza: come un treno di nuvole, trasparenti ed acquee che salgono dal fondo valle; ti perdi a guardarle, mentre scompare l’ultimo lembo di orizzonte.

Tutti i ragionamenti, le strategie, le tattiche hanno senso se aiutano a calarci nel caldo bagno primitivo, colmo di piaceri, di gratuità e di riconoscenza. L’accettazione di questo benessere contiene implicitamente tutte le risposte al perché della vita, la cui conoscenza procederà direttamente dal piacere e dalla gioia della primitiva esperienza.
Oltre il canto della malinconia, si accende per immagini e memorie la trasparenza delle cose, percorse dal tempo.

Gli strumenti, di cui disponiamo, sono essenzialmente due: il movimento e la memoria.
Il movimento è la prima funzione vitale espressa dalle strutture biologiche e per noi un irrinunciabile strumento di comunicazione e di conoscenza, che assicura ed alimenta la globalità della nostra partecipazione. La gioia, la conoscenza, la gratitudine ci percorrono attraverso l’esperienza del movimento, fisico o virtuale, in ambiente o negli spazi della nostra memoria. Rimangono altrimenti in noi delle aree cieche e sorde, che la mente registra non come assenze, ma come sottrazioni di vita. Questa esigenza profonda è stampata nelle strutture del nostro encefalo. Infatti, il cervelletto, la cui funzione è dedicata alla armonizzazione del movimento attraverso la integrazione tra informazione, programmazione ed esecuzione, ha una massa pari al 10% dell’encefalo, ma contiene oltre il 50% di tutti i neuroni. Una singola cellula di Purkinje del secondo strato della corteccia cerebellare riceve 200.000 afferenze sinaptiche. Una cellula vestita di tempo!

“Per Platone il mondo non inizia nel tempo, ma con il tempo. Anzi è proprio il moto che genera il tempo. Tempo e moto si confondono in un unico viluppo”. (Ruggero Pierantoni, Forma fluens, Boringhieri 1997).

Nell’esperienza quotidiana il nostro grado di emancipazione si esprime nella continuità e plasticità con cui la memoria ci veste e continuamente media l’hic et nunc dell’incontro con l’ambiente.
La memoria di sé si forma lentamente nell’esperienza della prima infanzia e si rafforza progressivamente durante gli anni dell’adolescenza, in rapporto alla qualità dell’educazione e degli incontri. Un momento fondamentale nella nostra formazione è rappresentato dalle acquisizioni di priorità, che si dimostreranno tanto più forti, quanto più precoce è stata l’iniziazione e quanto più automatico è divenuto il nostro coinvolgimento. L’acquisizione della memoria di sé, attraverso il fluire delle esperienze visive, uditive e di movimento, caratterizza la fase centrale della nostra formazione. Guardare ed ascoltare passivamente significa regredire a comportamenti percettivi propri di un bambino di un anno. Nell’esperienza quotidiana questa regressione pulsa continuamente in noi ed è responsabile della maggior parte delle nostre incertezze e discontinuità. Occorre per contro scoprire, continuamente recuperare e seguire l’incessante “memorare”, in cui si esprime la nostra identità mutante: una pellicola trasparente, acquea, mobilissima, di percezioni, relazioni, memorie.
Ora, questa causa io la intuivo confrontando quelle diverse inflessioni felici, le quali avevano in comune questo, che io le provavo nell’istante attuale ed insieme in un istante passato, dove il tintinnio del cucchiaio sul piatto, la ineguaglianza delle lastre, il sapore della madeleine arrivavano a sovrapporre il passato al presente, a rendermi esitante nel decidere in quale dei due mi trovassi; in verità l’essere che in me assaporava quell’impressione, l’assaporava in ciò che essa aveva di comune tra un giorno trascorso e ora, in ciò che essa aveva di extratemporale, un essere che compariva solo quando, per una di queste identità tra il presente e il passato, veniva a trovarsi quell’unico ambiente, in cui poteva vivere, gioire dell’essenza delle cose, ossia fuori del tempo”. (Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Newton 1990).

 “Comprese che l’impegno di modellare la materia incoerente e vertiginosa di cui si compongono i sogni è il più arduo che possa assumere un uomo, anche di penetrare tutti gli enigmi dell’ordine superiore e inferiore: molto più arduo che tessere una corda di sabbia o monetare il vento senza volto”. (Luis Borges, Tutte le opere, Mondadori 1986).

 La ricerca di un contatto certo, di un segno continuo che ci riveli un legame necessario, definitivo con la vita, diventa strumento della nostra cangiante metamorfosi e si cala nel quotidiano, rivelandoci i mille volti della nostra partecipazione e la sorpresa degli infiniti incontri. La nostra verità cercata istante per istante, abbandonando qualsiasi tentazione di credere, che vuol dire cedere. Il tempo che ci resta da vivere viene scrutato e letto sul volto e nel comportamento dei nostri simili, che ci appaiono e ci parlano in momenti diversi e da diverse età. Essere fatti di tempo e vivere in un contatto deviante con l’assurdo delle cose alle quali trasferiamo le qualità temporali del nostro destino. Per chi accetta l’avventura della memoria, nascita e morte, pur con il loro imponente carico di suggestioni e di speranza, rimangono esperienze in attesa di definizione! Se tutto questo è vero, quando pronunciamo la parola “noi” cosa intendiamo? A chi o a che cosa ci riferiamo?

 “Per comprendere appieno quelle vaste organizzazioni che chiamiamo persone dobbiamo trovare nuovi modi di riflettere sulle menti. Ci occorrono nuove idee sulla vista, il movimento, il far progetti, la parola, l’apprendimento”. (Marvin Minski, La società della mente, Adelphi 1989).

Dunque, se apprendere contiene ed esprime il nostro progetto evolutivo
, occorre ritornare ad esaminare quel paradigma di conoscenza che si è maturato nei primi anni di vita e si articola nel dialogo tra l’Io e il Tu, attraverso gli strumenti della identificazione e della proiezione. Il superamento di questo paradigma nasce nell’istante in cui ci affacciamo all’universo di immagini, che attraversano la nostra mente, e diffonde in un  memorare  continuo. Il confronto tra queste due esperienze si esprime attraverso una serie di antinomie, nelle mille occasioni della vita quotidiana:
Paradigma Fisico e Paradigma Temporale:  Io-Tu ed Io-Tempo, Alternanza e Continuità; Linearità  e Circolarità; Ruoli e  Competenze ; Corpi-Oggetti e  Processi; Sostantivi e Verbi;  Possedere  e Cambiare;  Competizione e Connessione; Ricevere e Donare; Comunicare ed Apprendere; Beni materiali e Risonanze; Identificazione e Mutamento; La Patria, La Casa comune; Ritorno a Casa, Ritorno al Futuro; Concavità del cielo e Convessità del cielo; Gravità fisica e Gravità temporale;
Sì-No e Sì-Sì.

Per quanto noi possiamo differire per caratteristiche fisiche, comportamentali, anagrafiche, in realtà, utilizziamo tutti uno stesso modulo di relazione, che presuppone un Interlocutore, rappresentato dal volto di una persona, dalla priorità del lavoro o della famiglia, da una legge della società, da una parola. È questa anche la radice delle nostre mille superstizioni quotidiane, piccole e grandi, consapevoli ed inconsce, esorcizzate o gelosamente custodite. È  questo anche il presupposto della ricerca scientifica galileiana, che postula una realtà oggettiva indipendente dall’osservatore.
Il modulo inconscio che governa la vita della maggior parte di noi è e rimane quello neonatale, che ci vede intimamente dipendenti da una relazione, chiusa all’interno di un gioco alterno, necessitato, suggestivo, tra due realtà interdipendenti, l’IO e il TU. Il superamento di questa condizione costituisce il passaggio obbligato per raggiungere una condizione di felicità necessaria e merita dunque il nostro impegno esclusivo. Possiamo così entrare in una fase di turbolenza percettiva, nel corso della quale la “verità” si alterna: ora ci viene proiettata dall’esterno, ora invece nasce come visione interna. Come davanti a una figura ambigua, quando l’immagine dell’oggetto muta continuamente, in modo alternato, a seconda del dettaglio che esaminiamo.

Mi rifletto nell’immagine di un amico, nel ricordo di un luogo, di un respiro appena percepito, subito dimenticato da una presenza panica che non mi riconosce. Rivedere una persona, ripercorrere una strada, la traccia dei miei passi e quella dei sentimenti. Sottili bave senza direzione, subito spente. Attendere! Lasciare che il tempo scorra dentro di noi e noi più forti, nel silenzio.

Man mano che avanziamo lungo questi percorsi, attraverso innumerevoli prove, attese, provocazioni, sortite, ci accorgiamo che il nostro interlocutore, il Tu, è in realtà un luogo della mente, che coincide con la linea del nostro orizzonte percettivo e dal quale vengono proiettati, di volta in volta, pensieri, relazioni, volti, corpi fisici, voci, rappresentazioni di paura, memorie, desideri. La natura del “luogo”, a noi opposta, attribuisce alla infinita varietà di questi soggetti una qualità riflettente, che ci obbliga ad una ricezione forzata. Nasce così il ping-pong percettivo, sul quale si innesta ogni forma di dipendenza. Tutta la vita viene programmata e spesa per razionalizzare, ottimizzare, normalizzare un gioco che viene inconsciamente alimentato dal rapporto con un interlocutore “infinitamente” camaleontico, opposto, insuperabile, certissimo.
Un cavallo di Troia, penetrato nel profondo dei circuiti neurali delle nostre memorie automatiche.
È una condizione senza alternative, “perfetta”, che genera allucinazioni identificative, dipendenze religiose, attese, abbandoni, continui armistizi, ricorrenti ribellioni.

La nostra emancipazione va dunque affidata ad un’operazione di “microchirurgia percettiva”, che ci assicura la resezione e l’asportazione del Tu! Le occasioni in cui questo intervento può iniziare sono le più varie: un incidente fisico, una vittoria, una malattia, un’avventura, un libro, un addio, un incontro fortunato… La condizione necessaria, perché queste diverse occasioni possano innescare la fuga vittoriosa dalla prigione infantile, è la percezione della assoluta irreversibilità del procedere della vita, che cancella  in noi ogni possibile arresto, ogni possibile attesa. È la scoperta del Tempo, come nostro primo interlocutore. È come trovarsi per la prima volta esposti su di un abisso temporale, spalancato sul futuro e brulicante di infinite presenze. Un’emozione acuta, totalizzante, liberatoria, che può accendere in noi un nuovo percorso, senza ritorno.

Oltre il canto della malinconia si accende per immagini e memorie la trasparenza delle cose percorse dal tempo. Interrogativi quotidiani e per contro libere associazioni a incontrare il tempo, con il suo volto preciso e sereno, dove la persona è una e tutto è quiete. Dal racconto alla vita, brevi moti dell’anima, specchiati in un gesto, nel mutare della percezione. Al di là del gioco l’anima si cerca lungo percorsi certi e continui come la luce e il tempo.

La preoccupazione morale, che con tanto rumore occupa le nostre giornate, si allenta e lascia spazio ad una ricerca percettiva, in perfetta solitudine, dedicata a individuare una relazione naturale, necessaria con la vita, che avvertiamo scorrere in noi e attorno a noi e contenere ogni nostra possibile certezza ed insieme la promessa di una motivazione assoluta e definitiva.
 La soggettività, che caratterizza la nostra identità biologica e comportamentale, rivela la qualità ontologica della nostra solitudine. Con le neuroscienze questa parola, solitudine, così carica di attesa e di abbandono, si scopre principio di un nuovo progetto esistenziale, allo svanire di una teoria di divinità dal volto umano. I pensieri, i ricordi, le parole, i volti ci appaiono allora come solidificazioni di una realtà fluida, mobilissima, che incessantemente avviene, attraversa, anticipa ogni possibile specificazione.

Un capello di luce entra nel cuore di un’ombra e accende il tic tac dell’orologio. Una mano lieve, sapiente, lascia cadere in noi una goccia di tempo. La richiesta di sempre si tace, L’ombra diviene colore. Un riposo di mille anni ci veste di felicità nuova. Ci accorgiamo così di essere “morti” in qualunque altro luogo, in qualunque altro tempo che non sia qui ed ora e come questa nostra atomica identità stia mutando impercettibilmente, continuamente… Abbandoniamo gli occhi del corpo ed il mondo che attraverso di essi si riflette verso di noi e ci affacciamo “senza alternative” ad una cascata di immagini e relazioni, in continuo divenire.

 Quando il ritmo a due tempi si spegne e continua appare la vita, svanisce la domanda che prima ha nutrito la fame tua e la sete. I vivi e i morti le stagioni e le stelle prendono allora a parlarti e tu conosci per la prima volta colloqui liberi dalla intenzione.

 Le esperienze maturate nel settore della biologia, della fisica, delle neuroscienze, le imprese vissute dagli esploratori dell’estremo, la globalizzazione dei servizi realizzata dai sistemi telematici, l’educazione alla processualità del pensiero promossa dall’informatica, ci invitano a scoprire ed a recidere la radice infantile, che con il suo gioco alterno ci preclude l’esperienza del “tempo continuo”. Ebbene, per affrontare con successo questo passaggio, dobbiamo affidarci necessariamente ad un programma quotidiano, che occorre seguire con il massimo scrupolo.
Come un atleta che inizia la preparazione per la gara della vita, così noi dobbiamo mettere al centro della attenzione quotidiana un programma di apprendimento, che ci porti a scegliere e a moltiplicare in ogni occasione relazioni piuttosto che cose, progetti di cambiamento piuttosto che abitudini, performance piuttosto che diritti.

Decidere! Come hanno già deciso il sonno ed il nostro occipite, che non vede i colori, ma riceve ombra e luce, perfetto, accidentale.

Ogni situazione contingente è una occasione concreta per avanzare in questa esperienza, finché
 il nostro programma quotidiano viene permeato dalla nuova intenzione, che progressivamente matura e genera automatismi coerenti e continui. Il programma non può che essere elementare e prevede un solo obiettivo per volta. Impariamo così ad essere il centro della nostra attenzione e, questa volta, non per una forma di egoismo o di narcisismo, ma in nome di un progetto di cambiamento, che, peraltro costituisce lo strumento più efficace nella relazione con gli altri, liberandoci da facili quanto velleitarie proiezioni di umanesimo pseudofilosofico o pseudo-religioso. Entrare nel futuro significa cambiare: ogni giorno un piccolo passo, purché sia definitivo, senza ritorno; conquistando un nuovo e diverso grado di libertà emotiva, nutrizionale, metabolica, verbale, cognitiva, gestuale. Il terreno su cui si verifica questo nostro progetto è la SALUTE, che contiene ed esprime la nostra individualità biologica e comportamentale. Un terreno imparziale, impermeabile alla pioggia delle buone intenzioni, sensibilità, creatività, volontà, quando si dimostrano incapaci di generare percorsi e storie soggettive.

 Salta la convenzione infida e incontro il tempo, dove corrono libere lame di luce, sciolte dalla garanzia. Il tempo è scaduto, la vita è ed io vado con lei. Memoria di una vocazione adolescente ritorna nel cuore della solitudine a giocare la mia incondizionata felicità.

Mirella Ducceschi, psicologa e miope elevata, descrive la sua avventura in seguito ad un intervento agli occhi, che le ha permesso di godere, per la prima volta, di una visione naturale:
In questa estate torrida questo improvviso miracolo mi rende eccezionalmente ottimista. È’ come se rinascessi un’altra volta. E in questo ciclo che sta per cominciare, come delle invisibili profonde radici lentamente si formano in me, mentre le vecchie appassiscono. Riemerge una personalità senza vernici. Pulita. Mille vite! È’ come se fossi nuda. Gli occhi! …occhi nuovi. Solo ora mi rendo conto di essere vissuta in un incubo.

 Negli stessi anni Italo Calvino scriveva: Se la letteratura non basta ad assicurarmi che non sto solo inseguendo dei sogni, cerco nella scienza alimento per le mie visioni, nelle quali ogni pesantezza viene dissolta.

 In conclusione, la scoperta della natura biologica della mente e della sua capacità di riflettere ed interagire con il tutto attraverso i giochi della memoria e le attività del pensiero creativo, costituisce il seme per lo sviluppo di una nuova cultura, quella del pensiero biologico. Pensiero biologico e cultura della vita e della salute risolvono il dualismo mente-corpo e promuovono l’ecologia della mente come momento centrale e necessario della reintegrazione dell’individuo e della società nell’ambiente. Le dimensioni apocalittiche dell’inquinamento ambientale e del degrado sociale di questi ultimi 40 anni, l’apparente onnipotenza della legge del profitto e del mercato ed il delirio di un pensiero medico incapace di riconoscere la qualità stocastica degli eventi biologici e la pervasività della comunicazione atomica e molecolare dei sistemi viventi (epigenetica), non possono in alcun modo essere affrontati affidandosi unicamente alla ragione morale, per quanto condivisibile e apprezzabile. In altre parole, dobbiamo riconoscere che la grande tragedia ecologica che si sta consumando sotto i nostri occhi nasce da un pensiero primitivo, fondato sull’esperienza infantile della identificazione-proiezione, incapace di leggere la qualità processuale e mutante della propria identità e che si applica a strumenti tecnologici ed industriali straordinariamente potenti ed efficaci. È questo il contatto che dobbiamo disinnescare, promuovendo a tutti i livelli lo sviluppo di un pensiero biologico, che pone la SALUTE al centro delle nostre priorità, in quanto contiene ed esprime la nostra identità fisica e mentale.

Una maturazione che coincide con un cambio di identità: dall’Io della Mente all’Io della Salute. Sonno, udito e parola, movimento, visione, apprendimento, memoria, sesso, pensiero creativo, energia, nutrizione,strategia del quotidiano, longevità, sono i temi della nostra sfida e dell’unico progetto possibile, lo stesso per ciascuno di noi, dal cui successo dipende il reinserimento dell’uomo e della società nell’ambiente e l’acquisizione di una nuova, consapevole, vincente alleanza per la vita. La Salute è dunque il risultato di un numero straordinariamente elevato di processi, che continuamente avvengono in noi, come in una grande orchestra, in cui la qualità della musica dipende dalla vastità ed armonia dei temi e degli intrecci e dalla varietà degli strumenti. Tutto avviene nel tempo e nell’arco della nostra vita, mentre si riduce progressivamente il numero delle cellule, cresce la complessità e la ricchezza delle relazioni espresse dalle esperienze che abbiamo saputo creare.

 L’uomo è il più complicato laboratorio esistente sulla terra. Anche in una sola dei suoi 50.000-100.000 miliardi di cellule avvengono ogni minuto secondo migliaia di reazioni chimiche governate da specifici enzimi geneticamente coordinati. Mettendo in fila le catene di acido desossiribonucleico di tutte le nostre cellule si coprirebbero circa 87 miliardi di km, pari a 580 volte la distanza fra la terra e il sole. Tale è la dimensione informativa garante dell’ordine nell’organismo”. (Aldo Sacchetti, L’uomo antibiologico, Feltrinelli 1985).

Chi vuole affrontare correttamente il problema della propria salute deve innanzitutto rendersi conto della molteplicità dei parametri in gioco e della continuità dei rapporti, per cui la semplice modifica di uno solo di questi parametri si riflette sull’equilibrio generale, creando necessariamente un nuovo assetto. Noi siamo una realtà biologica che vive ed esprime la propria unità di mente e corpo a livello molecolare ed energetico ed è perciò a questo livello che si gioca la partita della salute e dell’invecchiamento. Con l’avanzare dell’età si riducono le difese (immunità, enzimi antiossidanti, funzione detossificante dell’intestino, del fegato e del rene) e diminuisce la produzione e l’efficacia dei nostri ormoni. Eppure centinaia di migliaia di anni sono occorsi alla Natura per farci quelli che siamo. Oggi, per contro, con le conoscenze maturate soprattutto negli ultimi quarant’anni, la qualità della salute può essere sensibilmente migliorata nel tempo della nostra esistenza. Le conquiste della biologia e della medicina sono a nostra disposizione, purché noi si decida di porre concretamente la salute al primo posto delle nostre scelte quotidiane. Il perché di una scelta così importante ed apparentemente “egoista” nasce dalla certezza che la salute contiene ed esprime la nostra identità biologica, mentale ed emotiva. La mente, infatti, è ciò che fa il cervello e il cervello, contrariamente a quanto molti ritengono, non è contenuto solo all’interno della scatola cranica, quale depositario unico della vita mentale ed emotiva. Il cervello è dappertutto: negli organi di senso, nelle articolazioni, nell’apparato gastro-enterico, nei muscoli, nell’attività respiratoria, perché il sistema nervoso, endocrino ed immunitario hanno inventato nel corso della evoluzione un alfabeto comune, che assicura loro un dialogo ininterrotto. Questo alfabeto è costituito da neuromediatori, neuropeptidi, ormoni, citochine. Non esiste tessuto che non sia attraversato da questo dialogo, cui è affidata l’unità coerente e l’unicità della nostra realtà biologica e mentale.

Il pensiero biologico si pone così a fondamento di un nuovo progetto di apprendimento e di sviluppo, dedicato al reinserimento dell’uomo e della società nell’ambiente
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 I razionalisti sono coloro che vedono quello che credono, mentre gli empiristi sono coloro che credono quello che vedono. Il ricercatore, invece, è chi sa mantenere la porta sempre aperta tra la propria conoscenza e l’esperienza, con la consapevolezza di essere egli stesso parte di questo continuo esperimento. In altre parole, il mondo indagato e la propria identità sono contenuti entrambi all’interno della scatola nera, che l’esperimento cerca di interpretare, analizzando i segnali che da essa provengono e sono via via percepiti e ricordati.

 L’esperienza famigliare per chiunque si occupi di autismo, sia come genitore che come medico, è la quotidiana scoperta della natura biologica della nostra mente, per cui il comportamento è continuamente modulato da molecole di provenienza alimentare, intestinale, farmacologica, metabolica! Queste considerazioni costituiscono il fondamento dell’approccio molecolare e funzionale e, unite ad un concreto pragmatismo clinico e multidisciplinare, consentono di procedere nella ricerca delle cause e nella cura del bambino autistico, al riparo da interpretazioni statistiche e di classificazioni di malattia, che non sanno leggere la specificità biologica e comportamentale dell’individuo, vero obiettivo dell’indagine medica. Se un bambino ritenuto incurabile recupera l’uso della parola e la capacità di apprendere e di relazionarsi dopo alcuni mesi di cure mediche ed il rispetto di una dieta, significa che quelle cure mediche e quella dieta possono giovare ad una popolazione vastissima, perché una popolazione vastissima presenta disturbi intestinali, immunitari, emotivi, comportamentali evidenti e quotidiani, che rimangono incarcerati a causa di convenzioni tramandate, che oggi si dimostrano non più attuali e dannosamente inutili. Significa anche che quella medicina che giudica incurabile il bambino autistico, deve attentamente interrogarsi sulle ragioni di questo suo ritardo e sui fondamenti del suo approccio alla salute. Così, l’esperienza dell’autismo ci coinvolge ogni giorno e ci impone una riflessione critica nei confronti dei nostri riferimenti e delle nostre priorità, con la forza di una evidenza nuova e continuamente sperimentabile.


Nuove evidenze! Che proiettano nella nostra esperienza quotidiana un dubbio acuto nei confronti di molti criteri e principi derivati dalla tradizione umanistica e giuridica. In altre parole, se troviamo assurdo giudicare “immorale” il comportamento di un bambino autistico, perché ci rendiamo conto che esso è secondario a disturbi di tipo organico, quali una disbiosi intestinale, un blocco enzimatico metabolico o le conseguenze di una encefalite, per lo stesso motivo possiamo cominciare a dubitare delle nostre categorie di giudizio nei confronti del comportamento disturbato dell’adulto, sospettando che anche in questo caso possa trattarsi di manifestazioni e non di cause. Dalla ricerca e dalla cura medica del bambino autistico nasce, dunque, una nuova capacità di interpretare la nostra salute e la proposta per la costituzione di un movimento, che esprima competenze umanistiche, giuridiche e biologiche e che si occupi del disagio e delle patologie del comportamento e dell’apprendimento, quali i disturbi dello sviluppo, le dipendenze, i comportamenti violenti, la delinquenza minorile, le malattie psichiatriche.

Il superamento della Medicina Specialistica da parte della Medicina Funzionale nasce dalla diversa scelta:
a)dell’obiettivo di indagine: la individualità biologica, verso la classificazione delle malattie;
b) del campo di indagine: la connessione molecolare neuroimmuno-endocrina, verso l’organo malato;
c)della proposta: il programma di cambiamento, verso la prescrizione medica.

 La promessa che è stata depositata in ciascuno di noi e la sua realizzazione attraverso la storia del nostro incontro con la vita, avvengono attraverso processi energetici, molecolari, cellulari, strutturali, come esperienze di movimento nello spazio – tempo. La conoscenza dei processi biologici ed il rispetto delle leggi della vita sono l’alimento più completo e corroborante per nutrire quella domanda esistenziale, che comunque pulsa in ciascuno di noi. La certezza scientifica e la consapevolezza che la nostra vita mentale, in tutti i suoi aspetti, è espressione di una realtà molecolare ed energetica infinitamente più vasta, ci aiutano a superare il sentimento di separazione e di ambivalenza mente-corpo e ci incoraggiano ad avanzare lungo i percorsi della salute. 

Dare tutto per possedere la vita. Amare senz’ombra. Vivere con il più semplice dei nostri sentimenti. Necessariamente.
Una percezione disegna il limite dove finiscono i miei capelli e comincia l’aria libera del cielo. Gioca oltre un occipite che non vede, mani che non sanno stringere la gioia di un’ora felice.
Gioca affidato all’umore che scorre con la gioia.
In questa sera di marzo, non più l’amico e il nemico, non più il luogo con la sua occasione.
Ma una continuità lieve, tra veglia e sonno, alimentata da un respiro fragile, che attraversa la geografia dei corpi e quella dei sentimenti, cangianti di memorie.


 Le grandi opportunità offerte dalle conoscenze, dai mezzi e dalle tecnologie disponibili nella nostra società, rimangono in massima parte inutilizzate, mentre lo sviluppo della società industriale, con la sua crescita disarticolata e convulsa ed i suoi tanti e falsi dèi, è il primo responsabile del dramma ecologico. Questa marcia dissennata solleva un urlo di sgomento e di ribellione nel cuore e nella mente di uomini onesti. Ma la ragione morale si dimostra impotente per le dimensioni planetarie di questa tragedia e soprattutto perché la stessa visione antropocentrica, la stessa formazione percettiva, lo stesso paradigma di conoscenza accomuna e rende fratelli chi sceglie parole e comportamenti opposti. Il cambiamento che dobbiamo affrontare è di proporzioni evolutive più che storiche ed il salto che la specie “uomo” è chiamata a compiere, è reso possibile dalla maturazione e dalla acquisizione del “pensiero biologico”. Dunque, un nuovo progetto di apprendimento e di comunicazione, in cui la vita mentale, attraverso le esperienze della salute, modula i suoi infiniti registri e scopre le ragioni della nostra cittadinanza naturale, quella dei figli del sole. 

“Come mai prima d’ora nella storia il destino comune ci obbliga a cercare un nuovo inizio. La conversione temporale ci cura del peso e della gravità delle cose, che hanno costituito i nostri beni ed occupato il nostro orizzonte fino ad oggi. Possa la nostra epoca essere ricordata per il risveglio di una nuova riverenza nei confronti della vita. Reimpostare i percorsi pedagogici di un’etica ecologica, una cittadinanza ecologica. Diffondere un nuovo modello riguardo all’essere umano, alla vita, alla società alla relazione con la natura, riconoscendo i legami con i quali il Padre ci ha unito agli esseri viventi. Incoraggiare uno spirito profetico e contemplativo, capace di gioire profondamente. Avere bisogno di poco e vivere molto”. (Laudato Si’, Enciclica 24 maggio 2015).

Interrompere i silenzi convenzionali con una risata in amicizia e continuare la ricerca e la maturazione del proprio controllo percettivo. Diventa tutto leggero, semplice e immediato.
Il progetto è solo uno e riguarda la nostra maturazione percettiva.
La dipendenza perde progressivamente la sua grip automatica, con lo sguardo coatto verso le cose. La scoperta del tempo, come primo interlocutore, ci proietta in una condizione di libertà vertiginosa, istantanea. Costituisce il nostro unico patrimonio, e non ne ammette altri!

 La forza del mio istinto morale e la scoperta negli anni della infanzia, tra i 7 ed i 10 anni della “convenzione” recitata dagli adulti, mi ha impedito di credere. Per cui, ogni cosa data doveva essere reinterpretata e superata. È stato come lavorare in miniera! Ho ripercorso tutte le tappe di mio Padre. Niente mi ha fermato, perché il mio impegno morale era ed è stato l’estremo limbo del mio riconoscermi ed essere Franco. L’esperienza con i bambini autistici mi ha permesso di portare a galla questa mia matrice e mi ha condotto alla scoperta della relazione IO-TU e subito dopo a quella del TU-Memoria e poi del TU-Tempo. Adesso occorre precipitare in questo rapporto e tradurre in automatico nella vita quotidiana questo nuovo inizio. Una festa totale, che non lascia spazio e alternativa a niente altro.

 Aspettiamo che tutti dormano, che le strade tornino a mostrare il loro volto di pietra ed il silenzio riconquisti il nostro orizzonte. Un clic, una capriola della memoria di noi e il mondo fisico e con esso il nostro corpo acquistano la leggerezza di un alito di vento, nei confronti di un cielo infinito. Il passaggio viene garantito da una caratteristica nuova ed assoluta. Quella del non ritorno. Voce, energia, cambiamento, gravità temporale, gioco infinito di relazioni, presente continuo.

 La convinzione che appare credibile è che le leggi che regolano la vita siano equazioni elementari e che la complessità sia sintomatica, fenotipica, figlia del tempo e traduca il limite del nostro punto di vista. Il nostro conta-tempo è rapido, per cui siamo coinvolti in un mare di attività e di contatti.
Se solo lo rallentiamo e assumiamo una scala temporale diversa ci rendiamo conto della irresistibile leggerezza delle nostre presenze. La conferma della nostra certezza è affidata al riflesso oculare. Se guardo un corpo ricevo una risposta, come colore, forma, dimensioni, collocazione nello spazio. Se guardo il tempo vedo immagini che mutano. La nostra emancipazione è affidata al nostro guardare il tempo e la nostra verifica è non aspettare mai e non ricevere mai. Andare, apprendere e mutare. La ricerca scientifica ha cambiato il nostro orizzonte, che da fisico è diventato temporale e da oggettivo è diventato soggettivo. Tra noi e l’altro corre la pellicola fluida, continua e trasparente delle nostre memorie, in un dialogo incessante tra passato presente e futuro. Queste nostre memorie presentano una natura complessa, biologica, energetica, percettiva, verbale. La Salute non è un bene, ma la nostra Identità. Il dibattito sulla povertà rimane inquinato dalla ambivalenza che le “cose” seminano nella nostra percezione. Se ci sganciamo dalla relazione con le cose e scopriamo che l’alternativa non è il regno dei cieli, ma il regno del tempo, che ci viene donato, istante dopo istante e che possiamo conoscere, fruire, sperimentare, abitare… allora comincia per noi una nuova vita! Possiamo chiamarlo Dio.  Dio che si rivela. Dio in noi. Infinito. Immanente. Continuo. Certissimo. I corpi e le cose, come fotogrammi di un film che cammina con noi, diviene con noi.

 Percettiva-mente prima che mental-mente. Quando il riflesso oculare cerca il contatto con i corpi regredisce ad una esperienza neonatale, che viene condizionata dall’automatismo del ricevere e confermata dal coinvolgimento del respiro, dominato dalla inspirazione. Nella esperienza emancipata il contatto visivo avviene, invece, con il tempo, il proprio memorare, la propria intenzione, che si apre ad un percepire globale popolato da immagini. Una tela continua, mobilissima, immateriale, sulla quale ogni presenza partecipa della contemporaneità.
La emancipazione è percettiva ed il territorio è il tempo. Occorre cercare questa nostra memoria, che ci veste come una pellicola continua e una volta agganciata, ci spalanca la relazione con il tempo. Uscire senza atti violenti dalla dipendenza infantile ed affacciarsi alla consapevolezza elementare del nostro appartenere al tempo, con il quale avviene il nostro contatto, in anticipo rispetto ad ogni nuova sorpresa o antica memoria. Gli oggetti di questa stanza smettono di riflettere messaggi e giacciono fermi, attratti dalla loro gravità aliena e ignara nei confronti di quella temporale, che alimenta il nostro respiro. È il battesimo della nostra liberazione! Una operosità nuova, liberata, impaziente, testimone, posseduta da una incoercibile ricerca dell’altrove, del nuovo e diverso, che contiene in pochi istanti l’impegno per le necessità quotidiane, perché il nostro volo non si interrompa. Humble, unaffected, relentless, consistent, like my clock. Second after second!

L’esperienza professionale è stata la mia ancora, che ha permesso di alimentare la mia stabilità quotidiana. Il microscopio operatorio è stato uno strumento di emancipazione e di educazione percettiva straordinario. Ogni giorno venivo confortato ed incoraggiato dai risultati che ottenevo. Oggi non ho desideri, attese, progetti che non sia il precipitare nel tempo e fruire della verifica che ho condotto nell’arco di 70 anni. Celebrare ogni giorno questa Epifania!
Per la prima  volta nella mia vita: vedo! Fino ad oggi, in nome di una convenzione taciuta, ma certissima, il mio guardare è sempre stato riflesso, per cui l’intenzione veniva come rimbalzata e non le era permesso di abbracciare il “momento” se non in occasioni eccezionali. La quotidianità rimaneva velata e risultava percettivamente indiretta e in qualche modo convenzionale. L’analisi che ho condotto in questi anni, mi ha fatto scoprire che questa condizione, che in me alimentava insicurezza, esclusione dalle feste ed un ritmo interno catapultato in avanti a cercare sempre condizioni nuove e diverse, è alla base delle difficoltà di comunicazione della maggior parte delle persone. Noi adulti utilizziamo inconsciamente il riflesso oculare del neonato, perché è automatico, inconscio e primo strumento di conoscenza extrauterina. Nei momenti di incertezza cerchiamo o chiediamo di “vedere”: “Guardami negli occhi!” è la richiesta che pronunciamo per verificare la sincerità del nostro interlocutore. È il modulo neonatale che rimanda al rapporto esclusivo con la madre. Il modulo IO-TU, che nella storia individuale e collettiva rimane come una memoria profonda, che condiziona la vita adulta, sempre e comunque, in rapporto alla sua inconscia automaticità. Per la sua struttura bipolare, automatica, “ultima”. è anche il fondamento della nostra Storia, secondo due diverse modalità: se prevale l’IO, si configura un atteggiamento rivoluzionario, che tende ad abbattere il potere costituito; se prevale il TU, nasce il fondamentalismo, che richiede obbedienza assoluta alla autorità. È un’equazione in cui sono comprese tutte le avventure di questo primo tratto della nostra Storia. 10mila anni!
L’esplosione demografica, la concentrazione in giganteschi agglomerati urbani e la rapida evoluzione delle tecnologie di questi ultimi 200 anni, in particolare degli ultimi 70, costituiscono un giro di giostra vertiginoso della nostra quotidianità ed hanno comportato un astronomico moltiplicarsi degli errori individuali quotidiani, che alimentano lo status quo.
Il risultato: degrado ambientale, accelerata scomparsa di specie vegetali ed animali, malattie cronico degenerative, migrazioni di popoli in fuga dalle guerre e dai genocidi, fame per 1 abitante su 7. Nelle nostre famiglie 1 bambino su 3 presenta una sindrome metabolica (sovrappeso, obesità, iperuricemia, iperglicemia, ipertensione), 1 su 6 presenta un disturbo dell’apprendimento (disgrafia, dislessia, discalculia, disturbi della attenzione e della memoria, iperattività);  1 su 36 presenta la diagnosi di autismo. Con questa incidenza nessuna famiglia in età fertile è immune dal rischio di generare un figlio con questi problemi. Fra 15-20 anni, quali saranno i giovani che potranno entrare nel mondo del lavoro e nelle Università internazionali?

Il “Conflitto” è l’argomento che ispira e muove le cancellerie, l’opinione pubblica, il sogno di conquista e di supremazia, la competizione industriale, il vantaggio economico, l’opportunità di sfruttamento delle risorse naturali ed umane… La ricerca scientifica oggi, per la prima volta, ci consente di riconoscere e di leggere questa dipendenza biologica e mentale che caratterizza la nostra specie e ci indica la soluzione. Liberante, definitiva, certissima! Fuori dal modulo automatico neonatale a “sperimentare” la Salute, come contenitore ed espressione della nostra identità biologica, energetica, percettiva, mentale. La Salute al centro della vita sociale. Proprietari assoluti di un unico bene: il tempo di vivere, che ci viene concesso, attimo dopo attimo, a piene mani, per un tempo limitato, eppure imperscrutabile. Il viaggio negli inferi consiste nel visitare memorie pre-verbali e pre-consce, che si sono strutturate nel nostro profondo ed alimentano ogni secondo della nostra giornata l’umore, le fantasie, le attese, le scelte, le realizzazioni. La garanzia di poterne uscire è intrinseca al viaggio ed ai suoi fantasmi… per cui nulla può veramente aiutarci dall’esterno. Una nuvola nera, che scotomizza il nostro guardare e riflette memorie dolorose, memorie contro, distrazioni comandate, inutili sacrifici. Una pausa che sale spontanea, improvvisa, passiva, automatica e scotomizza la nostra intenzione… non sappiamo perché. Tutte esperienze, vissute o immaginate, siglate dalla nostra dipendenza nei confronti della loro evidente “spontaneità”, ripetitività. Tutte con il segno meno. Tutte manifestazioni del NOI. E tutto questo siamo noi!?

Tutto questo è un semplice refuso della nostra memoria infantile. La porta chiusa! La negazione contro!… che dobbiamo imparare a riconoscere come tale ed a spegnere, come si spegne un interruttore.
Tutte le esperienze negative ci riportano a questa memoria precoce.
 L’alternativa? La scoperta del tempo continuo, che diviene attimo dopo attimo davanti ai nostri occhi. Senza ombre, né attese, né ritorni. Senza convenzioni, semplicemente dato e certissimo.
Il luogo diventa immagine al comparire del tempo! La premessa del nostro intendere viene letta dal riflesso oculare, in cerca di una conferma. Se questa è rappresentata da un “corpo riflettente”, fisico o virtuale, si accende una dipendenza dalla risposta. Se invece il riflesso oculare incontra il tempo, il corpo viene percepito come immagine. L’emancipazione ha in questa relazione il suo fondamento. Andare vs ricevere. Cambiare vs Fare. Il contatto viene percepito da una intenzione sinfonica, accesa, coordinata, senza attese. Come un cielo in continuo movimento. È un cambiamento di stato! Tutto diviene nel tempo!

 “Il guadagno del capitale è superiore al tasso di crescita economica, per cui la differenza tra i ricchi e la classe media continua ad aumentare. Per realizzare un processo di redistribuzione occorre tassare in proporzione inversa il capitale”. (Il Capitale nel XXI secolo, Thomas Piketty).

Come dire che chi comanda deve darsi una regolata… Non è successo in 10mila anni, non succederà oggi. Per poter uscire dalla polarità ricchi-poveri, senza chiedere “con permesso”, occorre mettere al centro un parametro, che sia inclusivo della vita, in cui tutti possano riconoscersi. Questo parametro è la SALUTE. È questa la scoperta, in cui si riassume la ricerca scientifica di questi ultimi 70 anni. La scoperta più importante di tutta la nostra storia! Non la mente, psicologica, sintomatica, auto-referente, ma il nostro Corpo, in carne ed ossa, astronomicamente più vasto,
che si alimenta di contatti molecolari, cellulari, energetici  con l’Ambiente, ogni istante della nostra giornata e la cui impronta si forma tra il concepimento ed il terzo-quarto anno di vita! E’ questa la nostra Identità Comunitaria: il nostro Corpo e l’Ambiente, che ci accoglie con la gravità, ci assiste con l’ossigeno, ci colonizza con i batteri, ci nutre con gli alimenti.

 Overshoot Day: 2 agosto 2017 vs 13 Maggio 2021!
Abbiamo perso 2 mesi e 19 giorni di riserve offerte ogni anno dalla superficie del nostro Pianeta
nell’arco degli ultimi 3 anni.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             

L’aria che ci manca ammala il Pianeta. Il Pianeta che siamo. Contrariamente a quanto possiamo percepire, siamo visceralmente simbiotici con la Terra. La Ricerca ha scoperto che la vita è un sistema di relazioni così rapide e così continue e leggere, che sembrano fatte solo di tempo.

Alla radice di tutto, la scoperta della porta, la porta che non c’è!
Ernesto Olivero ci ripete: “Non bussate, è già aperto!”. È il dissolversi di ogni nevrosi e della ambivalenza che le alimenta.
E al di là della porta che non c’è, che cosa troviamo? Solo tempo. Un tempo… che non ha tempo, perché diviene incessantemente, e cambia al ritmo di femtosecondi. Non c’è ritorno. Nulla ritorna. La scoperta che la porta non c’è produce il sorriso permanente!…Acquistiamo la leggerezza dell’aria. Stazioniamo al centro del cambiamento, che ci appare e la forza è cosmica!
Il superamento della parola e del suo vasto e frequentatissimo universo, nasce con la scoperta del territorio pre-verbale, Uno spazio silenzioso. Controllato da una manciata di “attitudini”, come memorie che costituiscono l’orchestra di riferimento e disegnano la postura, la mimica, la voce, il movimento degli occhi, l’energia, la pazienza, il coraggio, la resilienza, la speranza.
 L’educazione che riceviamo ci pone in relazione ad un mondo fisico, che la gravità ci ricorda e ci menziona continuamente. Tutto il mondo reale è governato dalla gravità fisica. Così è stato per i primi 10mila anni della nostra storia. Le scoperte scientifiche e le invenzioni tecnologiche in questi ultimi 100 anni ci hanno progressivamente affrancato da questa dipendenza, e l’hanno mutata in una entità non più fisica, ma biologica: il tempo. Il tempo di vivere!

 Rileggiamo i passaggi di Proust e di Borges.
Comprese che l’impegno di modellare la materia incoerente e vertiginosa di cui si compongono i sogni è il più arduo che possa assumere un uomo, anche di penetrare gli enigmi dell’ordine superiore e inferiore; molto più arduo che tessere una corda di sabbia o monetare il vento senza volto”. (L. Borges, Tutte le opere, Mondadori 1986).

 “Ora quella causa io la intuivo confrontando quelle diverse inflessioni felici, le quali avevano in comune questo, che io le provavo nell’istante attuale ed insieme, in un istante passato, dove il tintinnio del cucchiaio sul piatto, la ineguaglianza delle lastre, il sapore della madeleine arrivavano a sovrapporre il passato al presente, a rendermi esitante nel decidere in quale dei due mi trovassi”.
 (M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Newton 1990).

 Per Immanuel Kant (1781) tempo e spazio sono forme della nostra sensibilità. Le neuroscienze cognitive hanno localizzato il tempo nel cervello e cercano dove siano e come funzionano i meccanismi che lo creano. Grazie al controllo mentale del tempo gli esseri umani hanno acquistato un potere sulla Terra che compete, quando non lo supera, con quello della Natura (Endel Tulving). Possiamo aggiungere: nulla di strano, siamo della stessa famiglia biologica, con qualche caratteristica a volte più specializzata

“I meccanismi nervosi del tempo, infatti, sono stati selezionati dalla evoluzione e lavorano secondo i principi generali dei fenomeni cognitivi. I disturbi del senso del tempo sono la conferma del tempo come meccanismo nervoso, che richiede l’integrità delle aree che lo elaborano. La rigorosa disciplina della razionalità della scienza, compresa la matematica, ha i limiti conoscitivi della condizione umana”. (Arnaldo Benini, Neurobiologia del tempo, Raffaello Cortina Editore 2017).

 La ricerca di un alfabeto temporale e l’articolazione di parole e poi di frasi del tempo, sempre più articolate, può così divenire il centro della nostra ricerca, privata, silenziosa, quotidiana… fino a visualizzare il tessuto su cui ha preso a scorrere questa nostra avventura. Il tempo. Il tempo che ci veste e conduce, legge e trasmette la nostra impronta dell’attimo, della intenzione vissuta in diretta. Il tempo di una stretta di mano, di una domanda, di un’attesa, di una sequenza motoria, di una nota. Un tuffo nel tempo, senza nostalgie per il mondo delle cose, che abbiamo conosciuto. La realtà, la nostra realtà coincide con il nostro destino temporale. Una presenza che scivola sui corpi e le cose come un riflesso, improvviso, come una lama di luce. La scomparsa della attesa e del ritorno vengono percepiti come un segnale forte di iniziazione al dialogo con la vita. La via di uscita!
Il riflesso oculare viene prima di tutto. La nostra emancipazione consiste nell’affidare tutto l’automatismo del riflesso oculare alla percezione del tempo, che diviene incessantemente davanti ai nostri occhi. Non ricordi, passivi come delle cartoline, ma memorie in continua attività di elaborazione. Il binomio neonatale IO-TU e la sua dipendenza, intrinseca e  coatta, chiusa all’interno di un gioco alterno, stereotipo, sempre uguale, si spengono, quando ci affacciamo alla vita, che ci “aspira” incessantemente, ci colloca e ci mantiene al centro della scena, in cui tutto cambia, continuamente . Tutto il resto è letteratura del riflesso neonatale! Apprendere continuamente e cambiare! Dichiarare la negazione una assurdità, non ci libera. Occorre capire a cosa si riferisce. Quando e come si forma. La negazione è una cartolina automatica rimasta nei nostri circuiti. Un refuso non visto, che nasce come fallimento della reciprocità nella relazione primaria IO-TU. Un muro, che riflette automaticamente. Occorre riconoscerla e spegnerla.
 La continua trasformazione legata all’età è un mare inesplorato. Prima di iniziare questo viaggio, occorre comprendere chi è il nostro interlocutore. Non possiamo pensare che sia Dio, come ci è stato insegnato. E prima ancora, chi siamo noi? Probabilmente la risposta più corretta è un “work in progress”, un pezzetto microscopico della tela della vita sul Pianeta. Quando pronunciamo NOI, ci appare una realtà in continua trasformazione. Se entriamo in questa realtà e guardiamo fuori, cosa  vediamo? Il tempo ed un continuo divenire di energie. Se uno ha avuto una buona mamma o invece una cattiva mamma, cambia qualcosa? Cambia tutto! In entrambi i casi, comunque, la sfida rimane la stessa, perché la emancipazione è un passaggio che comporta il distacco dal TU e l’incontro con il tempo. La cura consiste in un vero e proprio allenamento percettivo. Da un vedere riflesso ad un vedere diretto. E che cosa? Memorie e immagini, in continua dissolvenza. Nell’esperienza infantile le memorie vengono lette una alla volta, come fotografie. Nella esperienza consapevole, invece, come un film continuo. Nel primo caso si suppone una fisicità che riflette, nel secondo, invece, il film scorre continuo in avanti. La maggior parte di noi, per tutta la vita, mantiene una visione sdoppiata: a volte alterna, a volte continua. La relazione con il tempo, in anticipo nei confronti di qualsiasi altro input, ci traghetta in una nuova condizione, caratterizzata da un universo di relazioni temporali.

La nostra risposta cambia e da: Grazie! diventa: Evviva!
Il passaggio: a) se l’occhio cade su di un oggetto, automaticamente, anche se per un istante, sei legato all’oggetto e dipendi dall’oggetto che hai osservato; b) se l’occhio è concentrato sul tempo, l’oggetto viene percepito come immagine. Nel primo caso la gravità è fisica e l’esperienza è ricordare; nel secondo caso l’esperienza è temporale ed il verbo è memorare. L’esperienza delle cose è lo sguardo neonatale. Quella del tempo è lo sguardo liberato. Immagini singole e definite nella prima, un film continuo nella seconda. Il superamento della relazione IO-TU ed il libero accesso all’esperienza del tempo. Non pause, non ritorni. Nessuna possibile ombra. Luce ed un tempo continuo. Ridere è il segnale! Memorare: la funzione.

 Tutte le caratteristiche della coscienza, senza eccezioni, sono causate da processi neurobiologici del cervello. Di tutti gli stimoli, informazioni e percezioni che arrivano alla corteccia solo una piccola parte (forse una su dieci) diviene cosciente. Anche se incoscienti, tali elaborati sono nondimeno parte significativa dell’esperienza mentale, potendo influenzare riflessioni, stati d’animo, comportamento. Il tempo è considerato un atto della mente, un senso generale che accompagna ogni contenuto mentale L’evento cosciente del senso del tempo è il risultato di manipolazioni che il cervello esercita nella nostra totale inconsapevolezza. Il nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo, che regola la vita vegetativa ed i suoi molti e diversi timing secondo una periodicità di 24 ore, è autoregolato e solo marginalmente coinvolto nel senso che noi abbiamo del tempo. I meccanismi nervosi trasmettono da una generazione all’altra il senso del tempo e lo rendono cosciente all’incirca nel terzo anno di vita, insieme alla memoria. Il senso del tempo è essenziale, perché rende possibile il comportamento e la sopravvivenza di tutti gli esseri viventi. Il tempo non è percepito, come avviene per un suono, un colore o un dolore e non è riferito al mondo esterno, ma è immanente e presente in ogni esperienza sensoriale. L’esperienza del tempo è l’armonia generata con il concorso di meccanismi della memoria, della concentrazione, della riflessione e delle emozioni. Il tempo oggettivo è un dato creato dal cervello ed è misurato dall’orologio, mentre il tempo soggettivo è un’esperienza. Quando la corteccia riceve uno stimolo minimo, lo avvertiamo non in rapporto alla frequenza o al numero degli impulsi, ma alla loro durata, che deve superare mezzo secondo. Lo stimolo sensoriale portato sulla mano evoca una risposta della corteccia contro laterale dopo 14-20 millisecondi, che diventano 40-50 se lo stimolo parte dal piede. Il senso del tempo comprende: la stima della durata, dell’attesa, e dell’ordine di successione degli eventi. L’ippocampo svolge un ruolo chiave per lo spazio, la memoria ed il senso del tempo. L’area pre-motoria supplementare ed i gangli della base, organi dell’azione motoria, sono attivi anche in assenza di movimenti. La corteccia parietale sinistra genera una attesa degli eventi futuri; la corteccia prefrontale destra utilizza informazioni retroattive, per valutare se il tempo che passa coincide con quello previsto. Non c’è alcunché nell’Universo cui possiamo accedere senza prima filtrarlo attraverso i labirintici grumi di materia grigia della nostra testa. Il senso del tempo va cercato nel ‘corpo sensitivo’. La forma più complessa del tempo è la strutturazione in millisecondi del linguaggio parlato e della coordinazione motoria fine. Entro il diciottesimo mese di vita il bambino acquista la consapevolezza del presente e dell’adesso; dai 18 ai 42 mesi il senso del prima-adesso-dopo; verso i 30 mesi il senso del futuro. La parola domani compare prima di ieri, perché quest’ultima comporta la memoria che diventa cosciente a 30-32 mesi. La riflessione astratta del tempo è possibile dai 10-12 anni. Nel linguaggio parlato le sillabe sono create ogni 200-400 millisecondi. Oltre alla informazione lessicale e sintattica la prosodia (ritmo, pause, tempo, tono) modula il contenuto e trasmette lo stato emotivo di chi parla. A differenza degli afasici, i dislessici parlano e capiscono il linguaggio parlato senza difficoltà, ma hanno difficoltà a leggere, a sillabare e scrivere ciò che sentono (suoni, segni, lettere e parole). Potrebbe trattarsi di un difetto di coordinazione dei tempi delle percezioni visive e acustiche e del loro collegamento con le aree della coscienza. Il tempo si sente come evento della coscienza di sé e della coscienza del mondo. Ernst Poeppel 1978 descrive 5 esperienze coscienti del tempo: durata, simultaneità, successione, sequenza, senso del presente, anticipazione del futuro. Si tratta di esperienze diverse, che coinvolgono diverse aree corticali e sottocorticali comuni ad altre esperienze, come quella dello spazio e dei numeri. L’ippocampo è l’organo chiave della memoria, del senso del tempo e dello spazio. Il senso del tempo è un “intendere” specializzato che è diversamente distribuito nelle diverse aree corticali e sottocorticali, diverso da persona a persona ed allenabile. Nella risonanza magnetica funzionale, la previsione di una durata attiva soprattutto il solco infraparietale sinistro e l’ippocampo Se si è indifferenti, il tempo dell’attesa è più breve di quello reale; il contrario accade se si è tesi e preoccupati: il tempo non passa mai… Più alta è la temperatura del corpo o dell’ambiente, più veloce è sentito il passare del tempo. La corteccia parietale è fondamentale nella valutazione della dimensione del tempo per ogni azione. II bambino è costantemente impegnato nei tentativi di sviluppare relazioni con l’ambiente circostante per il soddisfacimento dei bisogni primari. Mancando di autonomia elabora segnali di disagio e di necessità, che, se verranno colti e correttamente interpretati, potranno procurargli ciò di cui ha bisogno; in caso contrario, il disagio aumenterà. Per tentativi successivi il bambino continua nella ricerca di una gratificazione e memorizza istintivamente le modalità di appagamento o di mancato appagamento. Ogni aspetto della relazione con il mondo passa attraverso il Nucleo Accubens(NA): la soddisfazione delle aspettative accumbali attiva la produzione di dopamina e serotonina. con conseguente fluidità muscolare, miglioramento della qualità del sonno, abbassamento dei livelli adrenergici circolanti e senso profondo di benessere e appagamento. In caso di stress, invece, attraverso il nucleo del letto della stria terminale, avviene la produzione di noradrenalina (quasi la replica mnemonica del trauma da parto), con conseguente aumento di tensioni muscolari, disturbi del sonno, innalzamento dei livelli adrenergici in circolo che caratterizzano lo stato di allarme. Potremmo definire il NA come l’occhio che percepisce il mondo, un occhio che si adatta interpreta, cambia la propria visione e istituisce una realtà personale.

Entrando in Milano con la Freccia Rossa si attraversa una periferia grigia, in cui le case sembrano nate opache e vecchie. Si sono mangiate il verde e prima ancora il tempo. Quello che scandisce i nostri giorni, che trasferiamo sulle lancette dell’orologio, i fogli del calendario e che continuiamo a contenere in tante diverse scatoline, come la riunione, l’incontro, il viaggio, il dopodomani, la festa, …ma che si nasconde e svanisce davanti ai nostri occhi puntati sulle cose, che continuiamo a interrogare come altrettanti oracoli, per maturare le verifiche dei nostri percorsi… fuori dal tempo! Vedere il tempo non consiste nel vedere i corpi in movimento, ma nel proiettare davanti a noi il nostro continuo memorare. Un flusso continuo di immagini, che colorano la scena, come in un film, attratte dalla stesa gravità temporale, che continua a scrivere la nostra storia

L’accorciamento del tempo soggettivo rispetto a quello oggettivo (compressione), di un evento nervoso è uno dei meccanismi nervosi fondamentali del rapporto della coscienza con il mondo; è un evento chiave e costante dell’esperienza sensoriale e dei meccanismi cognitivi e probabilmente è il risultato della selezione evolutiva dei meccanismi nervosi del tempo. Dalla retina alla corteccia visiva primaria nel lobo occipitale, la stimolazione visiva delle labbra che si muovono impiega circa 30-50millisecondi; il tempo della stimolazione acustica, dall’orecchio alle aree acustiche dei lobi temporali è di 15-20 volte inferiore. La retina impiega tempo per trasferire chimicamente la luce dai fotorecettori retinici ai nervi ottici, che la inoltrano alla corteccia visiva primaria. Fino ad una distanza di 10-15 metri la maggior velocità delle onde elettromagnetiche della luce (300milioni di metri al secondo) rispetto alle vibrazioni acustiche (330metri al secondo) compensa il lungo tempo impiegato dalla trasmissione visiva, perché l’informazione visiva e quella acustica arrivano ai meccanismi della coscienza simultaneamente. Gli atleti che corrono i 100metri lasciano i blocchi di partenza 130millesimi di secondo dopo lo sparo dello starter, di cui saranno consapevoli dopo 300 millesimi di secondo, quando avranno percorsi i primi metri. L’attivazione pertanto del movimento avviene in maniera inconscia. A 40-50 metri la latenza del suono rispetto alla visione è 106 millisecondi, che vengono compressi per cui lo stimolo visivo e quello acustico vengono percepiti contemporaneamente. Il cervello opera la compressione dei tempi lunghi, non l’allungamento dei tempi brevi. Se siamo toccati nello stesso istante in faccia e in un piede, siamo coscienti simultaneamente dei due toccamenti, nonostante che lo stimolo dal piede impiega 30-40 millisecondi e quello della faccia solo 5-10 millisecondi. E se osserviamo il toccamento lo vediamo simultaneamente alla sensazione tattile. Per passare dalle aree primarie della sensibilità ai meccanismi della coscienza l’informazione impiega 300-400millisecondi compressi in modo tale da non essere avvertiti. Tempo e spazio sono compressi durante i tre rapidi e minimi movimenti al secondo, che gli occhi compiono involontariamente per tenere al centro dello sguardo l’oggetto che interessa (saccadi). Ciò implica continui adattamenti dei punti di riferimento delle strutture nervose del tempo e dello spazio. La compressione del tempo è diversa per stimoli visivi (maggiore) e stimoli acustici (minore), per cui il senso del tempo non è né unitario né lineare e dipende dal tipo di esperienza sensoriale. Anziché fluido, lineare e costante come ci appare nella deduzione causale, lo scorrere del tempo è continuamente rimaneggiato in una scala inferiore al secondo. Nelle azioni intenzionali, il conoscere la causa e lo svolgimento comprime il senso della durata tra causa ed effetto rispetto a quello misurato con l’orologio.

 Determinante per il senso del tempo è la conoscenza della causa e la previsione del suo effetto (esperienza). La consapevolezza della causa comprime il tempo più significativamente della intenzionalità. Una piccola area ai margini della corteccia cingolata e della corteccia fronto-mediale di entrambi gli emisferi si accende come sede di un atto di illusione, che si riferisce ad un evento o attività nota. La coscienza viene informata successivamente alla attivazione di meccanismi nervosi coordinati. Il controllo può avvenire, ma solo a posteriori, come riflessione cosciente su di una scelta già avvenuta. La mancanza di sincronia fra esperienze sensoriali diverse dovuta alla mancata compressione del tempo è spia di un disturbo neurologico (vascolare o tumorale). Il senso del tempo non è lineare e coinvolge tutto il cervello e il cervelletto, anche se l’ippocampo ed il lobo parietale, specie quello destro, sembrano svolgere il ruolo fondamentale. L’informazione è cosciente quando diventa accessibile; questo succede per un decimo di tutte le informazioni, che raggiungono i molti sistemi e le molti reti cerebrali dell’auto coscienza, distribuiti nella corteccia prefrontale, cingolata e parieto-temporale. Le sequenze di tali eventi richiedono da 1/10 di secondo fino ad un secondo (Gerald Edelman), per cui il presente è sempre “ricordato”. La via della elaborazione della realtà non è solo nella direzione dal mondo esterno alla coscienza, ma anche dalle aree associative verso le aree primarie della percezione. Il dolore percepito è la sommatoria degli input nocicettivi periferici e di quelli centrali che operano il controllo. Come la compressione del tempo che rende omogenee percezioni non sincrone, anche l’attenuazione spontanea del dolore acuto ha un aspetto evolutivo importante. Le formiche dotate di un sistema nervoso formato da alcune migliaia di neuroni raggruppati in gangli e non in emisferi, costruiscono formicai utilizzando foglie più grandi di loro, li tengono puliti, fanno servizi di guardia e proteggono le colleghe operaie, costruiscono sentieri e tunnel sotto binari e ruscelli, accumulano cibo ed emigrano secondo piani, stabiliti dimostrando memoria, altruismo, senso del tempo, dello spazio, della disciplina, della gerarchia. La capacità di sopravvivere di qualsiasi animale dipende dai meccanismi di orientamento temporale e spaziale e da una abilità numerica, anche elementare (numerosità). Sapere che la nostra consapevolezza comprende il 10% delle informazioni che riceviamo e che siamo sempre in ritardo sensibile nei loro confronti (da 1 decimo ad 1 secondo) suggerisce prudenza e pacatezza alle nostre scelte comportamentali! Tempo, spazio, numero sono domini nei quali il cervello codifica e calcola quantità. La codificazione cerebrale matematica è ancora oscura. In tutte le culture il tempo è materializzato nello spazio, già a partire dai neonati. Le aree più specifiche per la elaborazione del tempo sarebbero i lobi parietali, in particolare il sinistro; per la valutazione dell’attesa: l’area motoria supplementare e la corteccia frontale destra. L’ippocampo è l’organo centrale e coordinatore, l’organo chiave della memoria e del senso del tempo; fornisce alla coscienza la continuità del suo svolgimento temporale. La consolidazione dei ricordi nel sonno avviene prevalentemente per l’attività dell’ippocampo e delle aree para-ippocampali. Essi sono organi chiave della memoria e del senso del tempo. L’insonnia e l’abbassamento della temperatura rallenta il senso del tempo.

 La preminenza del divenire sull’essere è universale. Tutto cambia anche il cambiamento e il tempo. Il tempo è una caratteristica reale dell’Universo dal momento che i sistemi nervosi di uomini ed animali lo realizzano e fanno parte dell’Universo.
Salute estrema! Nasce dalla scoperta percettiva della nostra natura temporale. Il corpo è un contenitore che viene plasmato dal nostro progressivo divenire tempo ed energia, quando gli occhi imparano a leggere immagini e memorie. L’invecchiamento del corpo va contrastato come si contrasta l’ignoranza. Nasce il progetto di salute estrema. Occhi per guardare e occhi per memorare. Due diverse aree corticali: nel secondo caso sei al centro della scena interna e la controlli con anticipo automatico, sincrono, allenabile.

Ho fatto il giro della piazza e sono tornato al punto di partenza, che comprende la percezione di me e dell’altro, per scoprire che il mio primo interlocutore è il tempo. Una disambiguazione che infuoca, con la certezza della rivelazione sperimentata e riproducibile. Veniamo così liberati da qualsiasi forma di attesa, sparisce il giudizio morale e scopriamo la consolazione definitiva!… Quella della connessione con tutte le forme di vita, piante ed animali. Man mano che questa esperienza si afferma, alimenta una nuova mappa corticale. Quella del memorare. Un recupero emotivo. Folate di pace e di benessere. Consolazioni che mi fanno tornare bambino. La pace nasce da un lungo esercizio di prova e riprova, guarda e ricorda, rispondi e taci, che si alternano e che lascio accadere in me. Il modulo IO-TU e il modulo IO-TEMPO. Nel primo siamo condizionati a ricevere la risposta; nel secondo cambiamo e procediamo. Nell’IO-TEMPO diveniamo il centro del nostro sistema ed il progredire è continuo. Due diversi circuiti: il primo servito dalla vista e dalla parola. Il secondo dalla visione memorante. Il primo affacciato al mondo fisico, attraverso una convenzione coatta. Il secondo all’esperienza temporale, sempre nuova. Quest’ultima esperienza, riproducibile e allenabile, mi spinge a documentarla, sperimentando e rivedendo la mia quotidianità. Nell’esperienza comune usiamo gli occhi come un bimbo di 10-12 mesi, durante i primi passi, per “tastare” la fisicità delle cose, dei corpi, delle distanze. Condizionati necessariamente dalla verifica, che corrisponde alla… risposta.
 Se è vero quello che ho detto, nasce una nuova opportunità!

 Proviamo a sperimentare una relazione continua non alterna e ci rendiamo conto che tra noi e le cose corre mobilissima e continua la pellicola trasparente, percepibile del tempo. Anzi, è proprio il tempo che tutto attraversa. Se riusciamo a vederlo, in un istante ci troviamo leggeri come ombre e più reali che mai. Siamo fatti di tempo! Attraverso l’esercizio continuo, si moltiplicano le “sortite”, libere e liberatorie, nell’abbraccio con il tempo. Matura la nostra confidenza e cominciamo a sviluppare una nuova sintassi e nuove priorità.

 Natale 2016. Sabato e un incontro bello ed empatico a Ferrara con gli Amici esperti di storia e la loro narrazione di come è nato il fascismo ferrarese. Dopocena il servizio di Alberto Angela sulla bomba di Hiroshima e prima, al telegiornale, gli eccidi in Siria ed i barconi di emigranti nel Mediterraneo. A memoria d’uomo non è cambiato nulla. È la nostra storia, dominata dal binomio neonatale. Corrisponde ad un circuito corticale “insuperabile”, inconscio ed automatico. Gli storici, i politologi, gli economisti descrivono nel dettaglio gli avvenimenti che caratterizzano la nostra storia, ma le ragioni che evidenziano ed interpretano sono tutte, necessariamente contenute all’interno di una stessa “convenzione”, che caratterizza ed anima la formula elementare.
Il binomio,  Io-Tu, che costituisce il fondamento del nostro concetto di società e, prima ancora, di intendere la vita quotidiana. Occorre identificare il circuito corticale che sottende questa relazione e quello diverso, che ci spalanca l’esperienza del tempo continuo. È un cambiamento di stato. È un passaggio evolutivo. Il progetto va tradotto in iniziative e pratiche di esercizio quotidiano. L’esperienza temporale veste quella fisica come una pellicola trasparente e continua. Non c’è alcun ritorno, se non nella convenzione di una visione neonatale. Tutto scorre! Così nella pratica medica la relazione si conferma con i miglioramenti e la guarigione.

Ci percepiamo leggeri come ombre e continuamente cerchiamo il movimento ed il cambiamento. Dalla civiltà dei corpi e delle cose a quella della energia e del tempo. Il tempo è tutto ciò che la vita ci offre. Vivere e testimoniare. Il primo contatto è con il tempo. Gratuito e illimitato. Guarisce ciascuno di noi. Ad un bambino che ha appena provato l’emozione delle montagne russe è pensabile offrire in cambio un giocattolo di plastica?! Così per noi, l’evidenza che caratterizza l’esperienza del tempo, ci conferma in questa nostra nuova e diversa avventura! Il dialogo è una relazione convenzionale che occorre animare con la gioia, animata dal tempo. Le cose non vanno negate o esorcizzate, ma comprese nella loro essenza, che è la solidificazione del tempo. Sono calchi della memoria. Noi siamo memorie vive e mutiamo continuamente. È’ questo il principio della formazione. L’esperienza del tempo si articola con l’accendersi di un circuito corticale e sottocorticale che la ricerca sta indagando. Quando scopri di essere immerso nel tempo e che tutto è tempo ed energia in continuo cambiamento… il modulo dare-ricevere si annulla e si comincia a navigare ed a cambiare. Credere può dare l’impressione di sapere, ma… non è la stessa cosa! “We need to believe in the impossibile and remove the improbable”. (Oscar Wilde)

 Una volontà chiara, rotonda, instancabile, mossa da una riconoscenza ontologica nei confronti della Vita-Tempo, dove tutto scorre. Non tocchi. Non raccogli. Sei una intenzione libera, che parte dal tuo petto. Non puoi volere nulla. È il fondamento della nuova pedagogia. Qui solo puoi restare. Siamo al centro di una nuova area della corteccia cerebrale. La pazzia che caratterizza la vita sociale traduce una impossibilità percettiva, che continua a bussare ad una porta immaginata, che non si apre, perché non c’è!… La conoscenza è innanzitutto percettiva. Evidente, immediata, olistica. Parti dal tuo petto. Il contatto con il tempo ti libera da qualsiasi ricordo, dipendenza, attesa, alternativa. Il tuo esistere è una funzione del tempo. Animati da una insanabile nostalgia per il futuro. Via, via, istantaneo consapevole, felice, liberato e libero. Non ci sono coppe da vincere, ma un tempo illimitato da incontrare. È’ 60 anni che ho 19 anni. È tempo di dire le cose come stanno… Per 70 anni ho guardato in un punto, aspettando che diventasse una finestra. E così è stato. Alphabet è il mio progetto e la mia certezza. Non c’è nessuna consolazione nell’essere consolati! La vera consolazione è apprendere e cambiare.

 Costante, automatica, ossessiva è stata la mia obbedienza nei confronti di una negazione, che si è innestata precocemente, minacciosa e fragile, che ha alimentato il mio continuo cambiare. Senza mai riuscire a liberarmi di quest’ombra, fredda e formale. Ha vinto la mia onestà. Ho risposto a tutte le domande e questo mi ha permesso di scoprire ciò che ho appena detto e mi trovo a 79 anni a cominciare il mio nuovo percorso… per diritto acquisito! Ho trovato la finestra spalancata, per cui non ho più nulla da temere e da cui difendermi. Solo andare, apprendere e cambiare. L’invecchiamento mi pare una volgare disattenzione. Una bestialità. Occorre mettersi di sbuzzo buono. Il contatto con il tempo ed il film della mia storia. Non voglio possedere nulla! Solo il mio tempo. Il progetto Alphabet è tutto quello che posso desiderare. Protagonista della mia ora! Precipitare nel tempo, oltre ogni possibile nostalgia. Il senso religioso della vita si accende quando percepiamo che lei scorre continua, in noi e senza di noi. Felicità necessaria, come quella sfrenata di un bambino. Un vedere continuo. Il desiderio si apre e diviene movimento. Non puoi più chiedere! Il riflesso oculare ha una forza coercitiva che ci guida oltre ogni dubbio. Rimanere affacciati sul campo! Vedere il tempo, vedere il tempo ! Alphabet è una invenzione. Con il questionario recuperi il filo ed avvii il nuovo ordine. Non dobbiamo salvare la foresta, ma essere la foresta. Testimonianza. Esercizio. Creare automatismi di cambiamento. La ragionevolezza non sta nelle parole buone e di conforto, ma nella trasmissione di questo nuovo ordine. Alphabet ci permette di ridisegnare ogni aspetto della nostra quotidianità. Leggero come una intenzione, una nota che non sa attendere. I nostri circuiti automatici sono le “realtà” più fisiche che abbiamo, che siamo. Non possiamo migliorarli con i sentimenti, ma solo creando automatismi diversi, secondo nuove priorità, più adatte al dialogo con il tempo. Dal guardare corpi e oggetti a vedere immagini in mutamento. Il motore è percettivo e preverbale. Per questo la parola può così poco. Il respiro accompagna e rivela la continuità o la discontinuità della nostra esperienza percettiva. Informatica e salute. È importante non confondere strumenti con destino!
 Il tempo non sa risponderci, ma solo cambiare, incessantemente e precipita secondo una sua gravità, che non collide mai… Un’autostrada tutta per lui e… noi dietro, nel frattempo diversi. 

La mia ricerca nasce dalla scoperta infantile, attorno ai 7 anni, che gli adulti “recitavano”: usavano codici di comportamento convenzionali, che non rispondevano alle esigenze di solidarietà e di affetto. Il riflesso oculare è rimasto la mia certezza, che ha continuato a mantenermi legato all’errore, che ho combattuto ogni giorno e che mi ha impedito d’accettare qualsiasi forma di normalizzazione. Come una spia rossa, che si accendeva ad ogni incontro. Un modulo percettivo, che precedeva ed orientava la vita quotidiana momento per momento. Con lentezza estrema i risultati positivi del mio lavoro hanno cominciato a versare nella clessidra dei granelli, che mi offrivano momenti di pace, e mi permettevano di scoprire che questa mia difficoltà era anche quella di molti altri.  Invertire la clessidra: il pieno diventa il vuoto! Ricevere diventa andare. Scoprire il “delitto” è solo la prima mossa. La seconda, quella definitiva, è comprendere le cause, la motivazione, che con nostra strepitosa meraviglia è un blocco percettivo del primo anno di vita. Il muro, la tigre, la dipendenza sono conseguenze.  La disambiguazione sta nello scoprire che la porta è sempre aperta. Sparisce il “ma” e tutto diventa continuo. Non salvi il mondo soffrendo, ma spalancando la finestra percettiva. Si diventa leggeri come l’aria, che viene prima di noi, ci attraversa e ci libera. Si spegne il verbo ricevere, come un lumicino al comparire della luce del giorno… Un clic e tutta questa enorme fatica piena di insidie, di ritardi, di passività, che è stata la nostra vita quotidiana, acquista la leggerezza di un alito di vento. Memorizzare la volta del cielo e l’aria libera. Questo è il contatto. Case, strade, città sono scatoline rigide… Se vedi il tempo, questo mantiene accesa la memoria di te e così sei al centro del tuo percorso Sparisce la vacanza e ci affacciamo alla festa continua. Incasso la consolazione definitiva, quella di non attendere mai. È il superamento della competizione, che è come voler ordinare la sequenza di due gocce d’acqua, mentre improvviso compare il mare! La diffusione epidemica dell’autismo e dei disturbi dello sviluppo e dell’apprendimento significano che nessuna famiglia è immune dal rischio di generare un figlio con questi problemi. L’allarme è assordante e ci precipita in un clima di guerra universale insidiosissima,  perché non dichiarata e coperta dal balletto di una Sanità collusa con le Istituzioni e le Multinazionali. Ogni giorno constatiamo il fallimento del Sistema e cerchiamo ipnoticamente di trovare soluzioni per ripararlo. La formula su cui si basa tutta la Sanità va invertita: dall’organo alla persona, dalla malattia alla salute. Un passaggio che non può avvenire all’interno della Sanità, ma innanzitutto all’interno della famiglia!.
Nei nove mesi della vita intrauterina e nel primo anno matura il nucleo centrale della nostra individualità, come connessione (con la madre e con l’ambiente): molecolare, cellulare, funzionale, energetica, percettiva, non verbale. La nostra è una identità comunitaria, che nasce dall’incontro di due cellule e fiorisce in una vertiginosa “società” attraverso le tappe dello sviluppo prenatale. Questa interpretazione comunitaria della nostra identità è il fondamento del nostro ottimismo, un invito al dialogo oltre ogni possibile barriera, per diritto acquisito a comunicare con tutti, persone, piante ed animali. La malattia non esiste se non come sottrazione di salute. Se questa semplice considerazione entrasse nella mente della gente gli ospedali si svuoterebbero per il 70% e la salute diverrebbe il primo argomento della famiglia. La sacralità del dare e del ricevere è vera per i primi 12 mesi di vita e successivamente evolve in sacralità dell’apprendere e cambiare. Così cambia il diritto e la legge. Dare-Ricevere e Apprendere-Cambiare si realizzano in aree diverse della nostra corteccia cerebrale. La alfabetizzazione biologica della vita quotidiana è la radice di qualsiasi cambiamento possibile. La giornata diventa coerente ed ordinata e la motivazione si immunizza dalle ambivalenze, perché viene liberata dall’attesa. Diveniamo pazienti, perché nulla ci può essere tolto e nulla possiamo trattenere. Siamo pronti per aprirci ad una nuova relazione con noi stessi e la quotidianità.

Il passaggio ha una precisa valenza evolutiva. Lucy si alza sulle gambe posteriori e si affaccia ad un orizzonte vasto e sconosciuto. Così noi, oggi, azionando i “neuroni specchio del tempo”, iniziamo una diversa quotidianità. Diveniamo il centro del nostro orizzonte e l’azione acquista una direzione centrifuga, con la scomparsa dell’attesa e della dipendenza. Affacciati alla gravità fisica nel primo caso ed a quella temporale, nel secondo. Si partecipa così alla vita continua, connessa.

Ho visto la speranza. Ho visto la speranza e l’ho seguita. Attraverso uno strato di nubi bianche, primaverili ho raggiunto le onde del tempo, che corrono nel cielo azzurro, con sibili armonici, in cicli di mille anni. Dove non c’è più memoria del bene e del male e la vita è manifesta a se stessa in un presente continuo, per trasparenze e comunioni.